Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 29 luglio 2025

MAO: QUANDO DIVENNI COMUNISTA (1920)

 




Ricordo un episodio del 1920, quando l’Associazione popolare di studio organizzò una manifestazione per celebrare il terzo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia. La manifestazione fu soffocata dalla polizia. Durante questa dimostrazione alcuni partecipanti avevano tentato di inalberare la bandiera rossa, ma la polizia si oppose. Allora essi fecero notare che, secondo l’articolo 12 della Costituzione (quella allora vigente), era concessa libertà di riunione, di organizzazione e di parola; la cosa però non fece nessun effetto sui poliziotti i quali risposero che loro non erano stati mandati per imparare la Costituzione, ma per eseguire gli ordini del governatore Chao Heng-ti. Da allora si rafforzò in me la convinzione che solo il potere politico delle masse, conquistato attraverso l’azione delle masse stesse, poteva garantire la realizzazione di dinamiche riforme. Nell’inverno del 1920 organizzai politicamente per la prima volta i lavoratori e cominciai a essere influenzato nelle mie azioni dalla teoria marxista e dall’esperienza della rivoluzione russa. Nel corso della mia ultima visita a Pechino avevo letto molto sugli avvenimenti russi e avevo cercato con avidità quei pochi libri sul comunismo che erano disponibili in cinese. Tre furono i libri che si impressero nella mia mente e costruirono in me la fede nel marxismo dal quale, una volta che l’ebbi accettato come corretta interpretazione della storia, non mi separai più. I tre libri erano: “Il Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels, tradotto da Chen Wang-tao, il primo libro marxista che sia stato pubblicato in cinese; “La lotta di classe” di Kautsky e infine una “Storia del socialismo” di Kirkup. Nell’estate del 1920 ero diventato in teoria, e in parte anche in pratica, un marxista e tale da allora mi sono sempre considerato. Nello stesso anno sposai Yang Kai-hui.

Mao Tse Tung, da “Genesi di un comunista” (estratto Snow 1937), e.book, Gae ed., 2021, pos. 915-944.

 

in questo steso blog leggi:

LA STRADA DELLA RIVOLUZIONE

La storia politica di Mao è la storia che porta alla strada della rivoluzione 




Edgar Snow, “Red star over China”, 1937, Victor Gollancz Ltd (London; UK), Random House (New York; US)

 

 

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a cura di Ferdinando Dubla







venerdì 25 luglio 2025

MA NON E' UN PRANZO DI GALA - Gramsci e Mao sul concetto di rivoluzione

 

 [in collaborazione ChatGPT]




Ricostruire una sinistra rivoluzionaria in Italia e in occidente, in cui i comunisti fungano da avanguardia cosciente della classe, sembra compito arduo se non una utopia. Eppure è il compito storico (e militante) da assolvere per la trasformazione radicale del sistema capitalista, inevitabilmente legato all’imperialismo e al colonialismo in questa fase. E alla guerra, al genocidio dei popoli, al terrorismo di Stato e al nazionalismo di Stato. L’”analisi di fase” decide anche i modi e le forme del rivolgimento rivoluzionario. L’importanza della ricerca indipendente è essere legata solo ai propri fini, nè a mode culturali, nè ad equilibrismi accademici. È l’intellettuale collettivo degli studi subalterni, che ha come punti di riferimento due ’filosofi della prassi rivoluzionaria’, Mao, e in particolare la guida del processo rivoluzionario in Cina (1921-1949) e Antonio Gramsci, in particolare la sua esperienza soviettista all’”Ordine Nuovo” e la straordinaria officina degli strumenti analitici per la rivoluzione in Occidente che è i “Quaderni dal carcere”.

 

La complessità della rivoluzione, delle sue varie fasi, presuppone una critica a qualsiasi visione idealizzata o edulcorata del cambiamento politico. Riflette un approccio insieme filosofico e pragmatico, ideale e realistico, che riconosce le asperità del portare avanti un cambiamento radicale nella società. / cfr. Antonio Gramsci §Quaderno 7 §13 dei “Quaderni dal carcere”; la definizione di rivoluzione dal “Libretto rosso“ di Mao compare all'inizio del film di Sergio Leone “Giù la testa”, appena prima dei titoli iniziali.

 

Citazioni

Mi pare che Ilici aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente nel 17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente, dove, come osserva Krasnov4, in breve spazio gli eserciti potevano accumulare sterminate quantità di munizioni, dove i quadri sociali erano di per sé ancora capaci di diventare trincee munitissime. Questo mi pare significare la formula del «fronte unico»5 che corrisponde alla concezione di un solo fronte dell’Intesa sotto il comando unico di Foch. Solo che Ilici non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi di società civile ecc. In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta | struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; piú o meno, da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale. Antonio Gramsci, Q.7  (1930-1931), § 16. Guerra di posizione e guerra manovrata o frontale, Quaderni dal carcere, ed. Einaudi, 1975, pp. 1249-1250.

La rivoluzione non è un invito a pranzo, né è scrivere un saggio, fare un quadro o un ricamo: non può essere così fine, così delicata, compìta, gentile, buona, rispettosa, temperata e magnanima. La rivoluzione è una insurrezione, è un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra. Mao Ze Dong, da Libretto rosso, cit. da e.book, a cura di Paolo Mallizi, Fermento, 2016, pos.369.

 

Il partito rivoluzionario è la guida delle masse: se il partito rivoluzionario non le porta sulla strada sbagliata in una rivoluzione, questa non subisce sconfitte. Se nella nostra rivoluzione vogliamo garantirci che non si vada sulla strada sbagliata e che il successo sia certo, allora dobbiamo fare attenzione ad unirci con i nostri veri amici allo scopo di attaccare i nostri veri nemici. Se vogliamo distinguere i veri amici dai veri nemici, dobbiamo fare una analisi generale della situazione economica delle varie classi della società cinese e del loro atteggiamento nei confronti della rivoluzione. [Mao, cit. pos. 381]

 

Se si vuole il collegamento con le masse si deve essere in accordo con le esigenze e le aspirazioni delle masse. Tutto il lavoro per le masse deve scaturire dalle loro esigenze e non dalle speranze di un individuo, per quante buone doti egli abbia. Molte volte, sebbene obiettivamente le masse abbiano l’esigenza di alcune trasformazioni, soggettivamente non ne sono ancora coscienti, non sono ancora decise, non vogliono ancora realizzare cambiamenti: noi dobbiamo allora pazientemente aspettare; quando attraverso il nostro lavoro la maggioranza delle masse ha acquistato coscienza, è decisa, lo vuole, allora si dovranno realizzare questi cambiamenti. In caso contrario ci separeremo dalle masse. Ogni lavoro per il quale è necessaria la partecipazione delle masse, se non c’è la coscienza e la volontà delle masse, scivolerà nel formalismo e fallirà. Qui ci sono due princìpi: uno è costituito dalle reali esigenze delle masse e non da quelle scaturite dalle fantasticherie della nostra mente; l’altro l’altro dalle aspirazioni delle masse, quello che loro stesse hanno deciso e non quello che abbiamo deciso noi per loro. [Mao, cit. pos. 448].

 

 

### Rivoluzione di lunga durata (Maoismo)

 

La “rivoluzione di lunga durata” è un concetto chiave del pensiero di Mao Zedong, leader del Partito Comunista Cinese. Mao credeva che la rivoluzione comunista in Cina dovesse essere un processo prolungato e graduale, adattandosi alle condizioni specifiche del paese. A differenza delle rivoluzioni rapide che avevano avuto luogo in contesti più industrializzati (come quella russa del 1917), Mao riteneva necessario un processo di lungo termine, che coinvolgesse ampie masse contadine e che si concentrasse inizialmente nelle aree rurali per poi estendersi alle città. Questo approccio prevedeva stadi successivi di costruzione del potere e di trasformazione economico-sociale, enfatizzando una strategia di accerchiamento delle città tramite le campagne.

 

### Guerra di posizione (Antonio Gramsci)

 

La "guerra di posizione" è un concetto introdotto da Antonio Gramsci, filosofo marxista italiano, nel suo lavoro sui “Quaderni del carcere”. Gramsci utilizzava questa metafora militare per descrivere un tipo di lotta politica che differisce dalla "guerra di movimento", quest'ultima più simile a una rapida insurrezione o un'azione rivoluzionaria diretta e breve. La guerra di posizione, invece, implica una lenta e graduale costruzione dell'egemonia culturale e ideologica nelle società capitaliste avanzate. Secondo Gramsci, prima di poter realizzare una rivoluzione socialista, è necessario guadagnare terreno all'interno delle istituzioni culturali, educative e politiche della società per consolidare l'egemonia del proletariato.

 

### Comparazione tra i due concetti

 

1. Tempo e Strategie Prolungate: Entrambi i concetti condividono l’idea che la trasformazione rivoluzionaria non sia un evento isolato e rapido, ma un prolungato processo strategico. Mentre Mao focalizza la sua attenzione sulle condizioni rurali e sulla necessità di un supporto ampio e radicato nelle campagne, Gramsci sottolinea l’importanza di stabilire un’egemonia duratura nelle strutture culturali e ideologiche.

 

2. Radicamento Locale e Progressivo: Sia Mao che Gramsci riconoscono l'importanza di adattare le strategie rivoluzionarie alle condizioni locali. Mao si concentra sulle realtà rurali della Cina, mentre Gramsci si riferisce alle società industrializzate occidentali. Tuttavia, entrambi enfatizzano la necessità di un radicamento progressivo delle idee e del potere nelle rispettive situazioni.

 

3. Cambiamento Sociale e Ideologico: Entrambi i concetti vedono la trasformazione sociale come qualcosa che deve integrarsi profondamente nella vita quotidiana delle persone. Per Mao, è questione di costruire il socialismo attraverso fasi e sviluppo sostenibile dal basso. Per Gramsci, si tratta di guadagnare consenso ideologico e culturale attraverso istituzioni che riflettono e sostenere i valori proletari.

 

In sintesi, pur essendo emersi in contesti storici e geografici diversi, la rivoluzione di lunga durata di Mao e la guerra di posizione di Gramsci illustrano strategie di trasformazione sociale basate sulla durata, il radicamento e l'integrazione progressiva dell'ideologia rivoluzionaria nella vita quotidiana e nelle strutture societarie. Entrambi cercano una stabilità e un consolidamento del potere non attraverso azioni immediate, ma tramite processi lenti e profondamente intrecciati con le rispettive strutture sociali e culturali. [ChatGPT]

 

MA NON È UN PRANZO DI GALA

 

La frase "La rivoluzione non è un pranzo di gala" di Mao Tse Tung è una delle citazioni più famose associate a lui e offre una visione del suo approccio alla rivoluzione e al cambiamento politico. Questa espressione mette in evidenza la natura complessa, difficile e spesso violenta dei processi rivoluzionari. Vediamo più nel dettaglio cosa implica questa affermazione:

 

1. Contrapposizione alla Normalità: La metafora del "pranzo di gala" evoca un'immagine di ordine, raffinatezza e semplicità, un evento dove tutto è progettato per essere piacevole e confortevole. Mao usa questa immagine per sottolineare che la rivoluzione è, al contrario, tumultuosa e disordinata.

 

2. Difficoltà e Sforzo: La rivoluzione richiede un grande impegno e sforzo. Non è un processo facile o senza ostacoli, ma piuttosto richiede sacrifici significativi, determinazione e spesso coraggio di fronte a resistenze e avversità.

 

3. Violenza e Conflitto: Mao non si sottrae alla realtà che i cambiamenti rivoluzionari possono spesso essere violenti. La rivoluzione implica un sovvertimento dei poteri esistenti e può portare a conflitti sanguinosi e lotte aggressive tra classi sociali o forze opposte.

 

4. Imprevedibilità: Come un pranzo ben organizzato è prevedibile e segue un ordine prestabilito, la rivoluzione è imprevedibile e caotica. Gli eventi rivoluzionari possono prendere direzioni inaspettate, richiedendo ai partecipanti di adattarsi rapidamente a nuove circostanze.

 

5. Necessità di Azione Decisa: Mao sottolinea la necessità di un'azione risoluta e decisa per portare avanti una rivoluzione. Non ci si può permettere incertezze o tentennamenti, altrimenti l'opportunità di cambiamento potrebbe andare perduta.

 

In sintesi, l'affermazione di Mao mette in luce la complessità e la serietà della rivoluzione, criticando qualsiasi visione idealizzata o edulcorata del cambiamento politico. Riflette un approccio pragmatico e realistico che riconosce le dure realtà del portare avanti un cambiamento radicale nella società.


Mao e Gramsci - img generata AI [ChatGPT]


Mao e Gramsci hanno anche il pregio di unire Oriente ed Occidente. La nostra ricerca, come quella della rivista Lavoro Politico del 1967, è indipendente, non dogmatica, per questo non accademica, accademia che considera politicamente impropria ogni comparazione. Naturalmente la rivoluzione bisogna organizzarla, farla, non solo pensarla. Per questo l’accademia non può essere rivoluzionaria. La rivoluzione è comunque sempre una ‘rottura’ ma dunque un processo dialettico costituito da fasi, contesti, posizioni, coscienza di classe. E sempre, non è ‘un pranzo di gala’.

a cura di Ferdinando Dubla

 

In questo blog vedi anche

SUBALTERN IA [ChatGPT] - CATEGORIE MAOISTE

la "lunga durata" e la duplice natura della tigre imperialista

 

TORNIAMO A GRAMSCI. E AL SOGGETTO POLITICO. RIVOLUZIONARIO.

 

Gli studi subalterni permettono un’estensione delle categorie concettuali con cui si pensa, per agire politicamente, il presente storico, nè la loro reductio nè il loro dissolvimento.

Il proletariato viene esteso ai gruppi subalterni e, da astrazione di classe presupposta, diventa reale motore della lotta delle classi, perchè inserito nella contesa egemonica. Che è il vero grimaldello che Gramsci offre nel Quaderno 25 - “Ai margini della storia-Storia dei gruppi sociali subalterni“  / Il passaggio dalla subalternità all’egemonia è dato però dall’autonomia, che è politica ma anche culturale. Che fa scaturire la “soggettivazione”, il soggetto storico agente nella prassi. Gramsci non è un filosofo “innocuo”, depotenziato della sua carica eversiva, genericamente nazional-popolare. Gramsci è un pensatore e uomo politico d’azione, marxista e rivoluzionario. / fe.d. 


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lunedì 14 luglio 2025

QUADERNI MERIDIONALI

 


La categoria del “colonialismo interno” [già presente per alcuni aspetti in Gramsci e in alcuni più accorti ‘meridionalisti' di ascendenza marxista (Cinanni, Misefari, Zitara), cfr. Subaltern studies 2., Contronarrazione meridiana. Saggi su Scotellaro, briganti, contadini e il Sud dei subalterni,  (a cura di Ferdinando Dubla ), Barbieri ed., 2025 - 

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2025/06/subaltern-studies-italia-2.html]

serve, a nostro avviso, a reinquadrare la tradizionale “questione meridionale” italiana, nell’ambito del pensiero decoloniale e la rimodulazione non latitudinaria del Sud e dei Sud del mondo, restituendo così le cause sociali, politiche, economiche e culturali inerenti i processi di sistema oggi specifici dell’ineguaglianza strutturale del capitalismo e dell’imperialismo colonialista. Ne studiamo dunque lo spessore ermeneutico / fe.d.

IL PENSIERO DECOLONIALE E LA CATEGORIA DI "COLONIALISMO INTERNO"

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2024/09/il-pensiero-decoloniale-e-la-categoria.html

 

La critica al Sud della narrazione dominante adotta i canoni storiografici dell’inchiesta sociale sul campo, ricentralizzando i soggetti della storia: il Sud dei subalterni dei Subaltern studies, la “storia dal basso” di Thompson, le Annales di Braudel. Una contronarrazione meridiana. La ‘prosa del mondo’ si trasforma in ‘prosa della storia’ (Ranajit Guha). Migranti, contadini, briganti e subalterni, mezzadri, coloni cafoni e ‘galantuomini’, il Sud italiano diventa Sud globale. / fe.d. , #subalternstudiesitalia

“Il quadro teorico è quello degli studi subalterni, recepiti nella loro matrice originaria gramsciana e rielaborati attraverso l’apporto decostruttivo di Guha (1982), Chatterjee (1993) e Spivak (1988), con l’obiettivo di decostruire la presunta neutralità della riforma agraria e metterne in evidenza la funzione di riproduzione dell’ordine sociale attraverso l’addomesticamento delle soggettività rurali e la deresponsabilizzazione politica del contadino subalterno.” 

Mario Garofalo , dir.ed. #quadernimeridionali

 

“Quaderni Meridionali”: un nuovo modo di raccontare e studiare il Sud,

di Gianluigi Chiaserotti

La creazione dei Quaderni Meridionali per le edizioni Quinta Pagina intende mettere in evidenza, in modo molto originale, la storia del Sud Italia. Attraverso il loro apporto polifonico, queste pubblicazioni hanno come scopo quello di restituire complessità e profondità alla riflessione sul Sud, mettendo in moto un interessante osservatorio scientifico multidisciplinare.

 

La collana si struttura come un osservatorio scientifico multidisciplinare in cui convergono storia, sociologia, economia politica, antropologia e studi culturali. Tale approccio consente di restituire una rappresentazione non riduzionista del Sud, inteso non più come “problema nazionale” bensì come laboratorio storico e sociale dotato di specificità interne, conflitti stratificati, dinamiche culturali complesse e potenzialità di sviluppo misconosciute o sottovalutate. Uno dei meriti principali di Quaderni Meridionali è la capacità di coniugare una solida base documentaria – con l’uso estensivo di fonti primarie, spesso inedite – con una prospettiva teorica aggiornata, capace di dialogare con le più recenti tendenze della ricerca internazionale.

https://www.sololibri.net/Quaderni-Meridionali-collana-raccontare-studiare-Sud-Italia.html

 

Quaderni Meridionali è su Amazon

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sabato 12 luglio 2025

Ogni lunga marcia comincia con un piccolo passo: il primo passo di Chu Teh

 



La "Lunga marcia" fu una strategia militare adottata dal Partito Comunista Cinese guidato da Mao Tse Tung tra il 1934 e il 1935. Durante la Guerra civile cinese, le forze comuniste subirono pesanti perdite e furono costrette a iniziare una ritirata strategica per sfuggire all'esercito nazionalista. La "Lunga marcia" fu un lungo e faticoso viaggio di oltre 9000 chilometri attraverso le montagne e le regioni rurali della Cina, che durò circa un anno. Durante questa marcia, le forze comuniste affrontarono numerose difficoltà e dovettero superare ostacoli come il clima avverso, la mancanza di cibo e le continue minacce dell'esercito nazionalista. Tuttavia, la "Lunga marcia" permise al Partito Comunista Cinese di rafforzarsi, consolidare la propria leadership e acquisire il sostegno della popolazione locale, diventando un simbolo di resilienza e determinazione nella lotta per il potere in Cina. [ChatGPT]


 



 16-10-1934 - La lunga marcia di Mao - Laura De Giorgi- n. 36 - settimanale, Giorni che hanno fatto la storia by La Gazzetta dello Sport, 11 novembre 2022

L’importanza di un giorno nella storia si costruisce nel tempo. È il caso del 16 ottobre 1934, il giorno in cui l’esercito di soldati-contadini guidato dal Partito comunista cinese fu costretto a ritirarsi da Ruijin, la capitale della piccola Repubblica rossa della Cina meridionale fondata pochi anni prima, per salvare la propria rivoluzione. Era l’inizio della Lunga Marcia, una delle più grandi epopee militari del Ventesimo secolo, conclusasi dopo 12.000 chilometri percorsi a piedi un anno dopo nelle regioni nord-occidentali della Cina con la creazione di una nuova base. Intrecciando i destini individuali dei protagonisti con i drammi politici e militari vissuti dalla Cina in quegli anni, questo libro restituisce non solo un racconto degli eventi, ma anche un ritratto di un’epoca, quella in cui il Partito comunista e il suo leader Mao Zedong seppero costruire il mito fondatore della Repubblica Popolare Cinese.

 


Chu Teh

La lunga marcia. Dalla dinastia Manciù a Mao. La Rivoluzione cinese raccontata dal leggendario comandante dell'Esercito Popolare di Liberazione, Editori Riuniti, 1971, cop. 2^ ed.

Da una serie di conversazioni con il leggendario comandante dell'Esercito popolare di liberazione cinese, la giornalista americana Agnes Smedley ha ricostruito la vita e i tempi di Chu Teh, dal crollo della dinastia Manciù alla vittoria della rivoluzione cinese. È indubitabile che l'espansione impressionante di questo Paese debba molto, moltissimo, alla rottura politica e al processo culturale della Rivoluzione che ha abbattutto un impero antico e millenario, immobile e che mai sarebbe stato in grado di adeguarsi a un mondo come quello contemporaneo. Chu Teh racconta nel libro questo epocale mutamento, con le parole e i ricordi di un grande, entusiasta, protagonista, ma anche con un po' di nostalgia nei riguardi di un'infanzia e di una prima giovinezza legata a un'epoca spazzata via dagli sconvolgimenti del Novecento.

 

 



Zhu De o Chu-The sulla copertina della rivista Lyangyou nel febbraio del 1938

 

CHU-TEH

Generale cinese, nato nella prov. dello Szechwan nel 1886. Fin dal 1905 era già generale ed era considerato un tattico sperimentato; perfezionò quindi la sua preparazione a Parigi, Gottinga e Berlino, subito dopo la prima guerra mondiale. Nel 1925 rientrò in Cina, dove lasciò il partito di Sun Yat-sen per il comunista; nel 1928 incontrò per la prima volta Mao Tse-tung, al destino del quale legò da allora il proprio. Proclamata la repubblica sovietica cinese, nel 1931, Ch.-T. divenne il capo supremo dei suoi eserciti; guidò, insieme a Mao, la "lunga marcia" dal Kiangsi nello Shensi (a Yenan). Dal 1937, Ch.-T. organizzò, anche a contatto di Chiang Kai-shek, il fronte comune contro i Giapponesi, ingrossando di continuo i proprî effettivi. Alla ripresa della guerra fra la Cina comunista e la nazionalista, egli fu a capo delle operazioni più importanti, che in tre anni portarono le truppe di Yenan dallo Shensi e dalla Manciuria all'unificazione della Cina. Dopo il 1950, ricoprì varie cariche, fra cui quella di vicepresidente del governo centrale. Considerato, insieme a Mao Zedong, il fondatore dell'Esercito Popolare di Liberazione, nonché uno dei padri della Repubblica Popolare Cinese moderna. È morto a Pechino il 6 luglio 1976.

Il libro di Chu Teh sulla Lunga Marcia in Cina, intitolato "The Red Army's March", racconta la storica ritirata dell'Esercito Rosso Cinese guidata da Mao Tse Tung durante la guerra civile cinese. Questa marcia, avvenuta tra il 1934 e il 1935, attraversò alcune delle regioni più remote e impervie della Cina per sfuggire all'assedio delle truppe nazionaliste. Durante la Lunga Marcia, l'Esercito Rosso cinese dovette affrontare molte difficoltà, tra cui il clima avverso, la mancanza di cibo e le insidie delle forze nemiche.

 

Il libro di Chu Teh fornisce dettagli sulle sfide affrontate dall'Esercito Rosso durante la Lunga Marcia, sulle strategie adottate per sopravvivere e sulle vittorie ottenute lungo il percorso. Questa epica marcia è diventata un simbolo di resilienza e determinazione per il movimento comunista cinese, e il libro di Chu Teh ne offre una testimonianza importante. [ChatGPT]

 

La prima edizione originale del libro di Chu Teh sulla Lunga Marcia, intitolato "The Red Army's March", è stata pubblicata nel 1934 dalla giornalista statunitense Agnes Smedley per Vanguard Press.

Questo libro rappresenta una testimonianza storica importantissima della Lunga Marcia dell'Esercito Rosso Cinese guidata da Mao Tse Tung durante la guerra civile cinese. La narrazione di Chu Teh fornisce dettagli fondamentali sulle sfide, sulle strategie e sulle vittorie ottenute durante questa epica ritirata attraverso le regioni più remote e impervie della Cina. In foto copertina della pubblicazione della riedizione in traduzione italiana per gli Editori Riuniti del 1974. La prima edizione italiana, sempre della casa editrice del PCI, è del 1957 su ed. originale del 1934.

 

Il libro offre un resoconto dettagliato della Repubblica Sovietica Cinese nello Jiangxi dal 1928 al 1931, concludendosi con la proclamazione della Repubblica Sovietica Cinese nel 1931. Smedley fornisce resoconti dettagliati delle prime politiche del PCC, tra cui le politiche di riforma agraria più radicali di quelle seguite dopo la Lunga Marcia, e le campagne per mobilitare i contadini poveri e garantire i diritti alle donne. Include numerosi resoconti di battaglie, tra cui la conquista e la successiva perdita di Changsha. Il libro contiene molti dettagli, tra cui un resoconto della Lega Anti-Bolscevica.

Né Smedley né alcun altro giornalista occidentale visitò i Soviet cinesi, ma ebbe resoconti di prima mano da combattenti comunisti cinesi che aveva segretamente ospitato a Shanghai. Le sue fonti principali furono due comandanti dell'Armata Rossa, Zhou Jianping e Chen Geng.

Questo libro circolò segretamente nella Cina governata dai nazionalisti, sia in inglese che in traduzioni cinesi. Fu una delle poche pubblicazioni straniere ad essere formalmente bandita dal governo nazionalista. Smedley era stata a lungo identificata da loro come una delle principali nemiche, e fu diffamata pesantemente. Invano.


vedi in questo blog:

 

LA STRADA DELLA RIVOLUZIONE

La storia politica di Mao è la storia che porta alla strada della rivoluzione

 

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a cura di Ferdinando Dubla



mercoledì 9 luglio 2025

SUBALTERN IA [ChatGPT] - CATEGORIE MAOISTE (2)

 

Ribellarsi è giusto  e le contraddizioni in seno al popolo




L'espressione di Mao Zedong "ribellarsi è giusto" riflette la sua convinzione che la disobbedienza civile e la protesta popolare siano azioni legittime e moralmente giuste quando rivolte contro un sistema oppressivo o ingiusto. Mao incoraggiava il popolo cinese a essere attivo e a lottare per i propri diritti e per il cambiamento sociale, anche se ciò significava andare contro le autorità costituite.

 

Questa frase sintetizza l'idea maoista che la ribellione e la resistenza siano meccanismi legittimi per abbattere le gerarchie di potere e per promuovere la giustizia sociale e politica. Mao credeva che la disobbedienza civile e la protesta fossero essenziali per combattere l'oppressione e costruire una società più equa e giusta. In questo contesto, "ribellarsi è giusto" rappresenta una proclamazione di sostegno alla lotta popolare contro le ingiustizie e le strutture di potere oppressive.

[ChatGPT]

 

La teoria delle "contraddizioni in seno al popolo" di Mao Tse Tung si riferisce al concetto che anche all'interno della società socialista o comunista possono emergere contraddizioni e conflitti tra diverse parti della popolazione. Mao sosteneva che queste contraddizioni dovevano essere riconosciute e risolte in modo appropriato, senza ricorrere alla repressione o alla violenza. L'idea era quella di gestire in modo dialettico e non antagonistico le divergenze all'interno della società per favorire l'unità e il progresso collettivo. Ciò comportava un costante processo di analisi e confronto delle divergenze per trovare soluzioni che potessero soddisfare le esigenze di tutte le parti coinvolte, nel rispetto dei principi fondamentali dell'uguaglianza e della giustizia sociale. [ChatGPT]

*SULLA GIUSTA SOLUZIONE DELLE CONTRADDIZIONI IN SENO AL POPOLO (27 febbraio 1957)

*Discorso pronunciato dal compagno Mao Tse-tung all’undicesima sessione allargata della Conferenza suprema dello Stato. L’autore ha rivisto sulla base della registrazione il testo del suo discorso, facendovi delle aggiunte prima di farlo pubblicare sul Quotidiano del popolo del 19 giugno 1957.

http://www.bibliotecamarxista.org/Mao/libro_14/sull_sol_cd_sen_pop.pdf

L’articolo fu scritto dopo i fatti d’Ungheria del 1956 e affrontava il problema delle contraddizioni di classe in una società socialista o avviata verso il socialismo. La Cina di Mao Tse Tung adottò una posizione di sostegno al governo comunista ungherese durante la rivolta ungherese del 1956. Mao e il Partito Comunista Cinese condannarono gli eventi in Ungheria come un tentativo di controrivoluzione e sostennero il governo comunista locale nel reprimere la rivolta. La Cina temeva che la rivolta potesse indebolire il blocco comunista e favorire gli interessi occidentali durante la Guerra Fredda. Inoltre, Mao riteneva che la rivolta ungherese fosse un tentativo di restaurare il capitalismo e minare i progressi socialisti.

Ma lo scritto si trasforma continuamente da politico a filosofico e viceversa, divenendo un manifesto programmatico di filosofia politica basata su un asse fondamentale con un principio-guida: la persuasione, il dialogo, il consenso partecipato sostanziano una democrazia realmente rappresentativa delle masse popolari e della loro unità. Non si possono trattare le contraddizioni secondarie (quelle tra gruppi subalterni divenuti classe dirigente) come le contraddizioni primarie nei sistemi imperialisti capitalisti (quelle tra gruppi subalterni e classi dominanti). Dunque, la stessa rivolta ungherese del 1956, pur nell’ambito geopolitico definibile ‘controrivoluzione’ è quanto meno però spia di un malessere diffuso tra gruppi e frazioni di classe ‘in seno al popolo’, dunque non risolvibile con i carri armati della repressione. È problema politico di gestione delle ‘contraddizioni in seno al popolo’.

Evitando non di mettere classe contro classe, ma che frazioni e gruppi della stessa classe siano in lotta fra loro per i medesimi interessi di classe.    

 

Prendere posizione a favore di una libertà che abbia una direzione e di una

democrazia sotto una direzione centralizzata, non significa in alcun modo che i

problemi ideologici e i problemi della distinzione tra la ragione e il torto in seno

al popolo possono essere risolti con misure coercitive. Tutti i tentativi di risolvere

le questioni ideologiche e le questioni della ragione e del torto con ordini

amministrativi o con misure costrittive sono non soltanto inefficaci, ma anche

nocivi. Non possiamo abolire la religione per mezzo di ordini amministrativi né

obbligare la gente a non crederci. Non possiamo obbligare la gente a rinunciare

all’idealismo, così come non possiamo obbligarla ad abbracciare il marxismo.

Tutte le questioni di carattere ideologico e tutte le controversie in seno al popolo

possono essere risolte solo con metodi democratici, con i metodi della

discussione, della critica, della persuasione e dell’educazione; non possono

essere risolte con metodi coercitivi e repressivi.

Per risolvere le contraddizioni in seno al popolo i metodi della persuasione e

dell’educazione e le misure amministrative costituiscono due aspetti che si completano a vicenda. Le misure amministrative emanate per mantenere l’ordine

sociale devono accompagnarsi a un lavoro di persuasione e di educazione poiché,

in molti casi, da sole restano inefficaci.

Mao Tse Tung, cit. da Opere. vol.14, ed. Rapporti Sociali, 1991-1994.  pp.99-100

 

vedi in questo blog:

SUBALTERN IA [ChatGPT] - CATEGORIE MAOISTE

 la "lunga durata" e la duplice natura della tigre imperialista






venerdì 4 luglio 2025

HUL! HUL! - L’INSORGENZA e il CANONE STORIOGRAFICO della ‘prosa della contro-insurrezione’

 


Ranajit Guha sottolinea, per la ricerca collettiva, l'importanza di leggere i documenti storici delle élite con una prospettiva critica per svelare l'azione dei gruppi subalterni, interpretando così il ruolo di “storico integrale” descritto da Gramsci sempre nel Quaderno 25 di Formia (1934-1935). Nei documenti ufficiali dei dominatori può trovarsi la “prosa della contro-insurrezione” e misurare la densità e lo spessore dell’insorgenza subalterna altrimenti muta o classificata come meramente spontaneistica o ribelle ‘senza coscienza di classe’. 

 

INSORGENZA CONTADINA

Una pagina di Ranajit Guha

La storiografia si è accontentata di considerare il contadino ribelle semplicemente come una persona empirica, o come membro di una classe, ma non come un essere la cui volontà e la cui ragione giocavano un ruolo essenziale nel costituire quella prassi chiamata ribellione. Questa omissione, in gran parte della letteratura, si traduce nell’uso di metafore che assimilano le rivolte contadine a fenomeni naturali: esse scoppiano come temporali, si sollevano come la terra squassata dal terremoto, si propagano come incendi, si diffondono come le epidemie. In altre parole, quando il proverbiale “tappo” salta, il tutto viene decodificato in termini di storia naturale. Persino quando questa storiografia è spinta a offrire spiegazioni in termini più consoni alla storia umana, l’argomentazione è fondata sul presupposto dell’identità tra natura e cultura, caratteristica, evidentemente, di un livello bassissimo di civiltà, ed esemplificata da “quelle periodiche esplosioni di criminalità e quei momenti di sospensione della legge che caratterizzano ogni tribù selvaggia”, per riprendere i termini utilizzati dal primo storico della ribellione chuar.

In alternativa, le ragioni dell’insurrezione vengono cercate nei fattori di deprivazione economica e politica, fattori che, in realtà, non hanno nulla a che vedere con la coscienza contadina o che vi sono collegati solo in senso negativo. Secondo questa interpretazione sarebbero tali fattori ad aver innescato la ribellione, come se essa fosse una sorta di riflesso automatico, ossia una risposta istintiva e sconsiderata a sofferenze fisiche di vario tipo (per esempio la fame, la tortura, il lavoro forzato ecc.) o una reazione passiva dei contadini a una qualche iniziativa assunta dai loro padroni e avversari. In entrambi i casi l’iniziativa contadina è vista come esterna alla coscienza stessa contadina e la Causa è posta come un fantomatico surrogato della Ragione, come logica stessa di quella coscienza.

Ranajit Guha, La prosa della contro-insurrezione, in Ranajit Guha, Gayatri Chakravorty Spivak, Subaltern studies, Modernità e (post)colonialismo, a cura di Sandro Mezzadra. Introduzione di Edward Said, Ombre Corte, 2002, pp.44-45. 




La rivolta dei Santal è stata una importante ribellione che si è verificata nell'India orientale, nella regione dell'attuale Jharkhand, nel 1855-1856. I Santal erano un gruppo etnico indigeno che era stato sfruttato, oppresso e costretto a lavorare duramente dalle autorità coloniali britanniche e dai proprietari terrieri locali.

La ribellione dei Santal fu una risposta alle ingiustizie subite, inclusa l'appropriazione delle loro terre, l'esattoria di tasse e la coercizione al lavoro forzato. Guidati da capi tribali e leader religiosi, i Santal si ribellarono in una lotta per difendere le proprie terre, le proprie tradizioni e il proprio stile di vita.

Durante la rivolta, i Santal attaccarono le autorità coloniali britanniche, le proprietà dei coloni e i simboli del potere oppressivo. Nonostante la resistenza coraggiosa dei Santal, la ribellione fu soppressa brutalmente dalle forze coloniali britanniche, che usarono la violenza per reprimere la rivolta.

La rivolta dei Santal è considerata un importante episodio nella storia della lotta anti-coloniale e del movimento per i diritti indigeni in India, che evidenzia la resistenza di gruppi tribali contro l'oppressione e lo sfruttamento subiti durante il periodo coloniale.



L’INSORGENZA e il CANONE STORIOGRAFICO della ‘prosa della contro-insurrezione’

Ranajit Guha, il fondatore dei Subaltern Studies, ha studiato la rivolta dei Santal perché era interessato a esplorare la storia e le lotte delle comunità subalterne, marginalizzate e oppresse. Ancor più l’insorgenza contadina e la sua natura, perchè è quella la soggettività storica motrice della lotta di classe anticoloniale, che permette, attraverso la reazione all’insorgenza, quella che Guha chiama ‘prosa della contro-insurrezione’, di stabilire un canone storiografico, non ‘subalternista’, ma, attraverso Gramsci (il quaderno 25), degli studi subalterni critici della modernità coloniale e postcoloniale.

La rivolta dei Santal, come la più recente per Guha, la rivolta naxalita iniziata nel 1967, rappresenta un importante capitolo nella storia dell'India coloniale, poiché i Santal erano un gruppo etnico indigeno che si era ribellato contro l'oppressione coloniale e la loro situazione di sfruttamento.

 

Studiare la rivolta dei Santal consentiva a Guha di mettere in luce le lotte e le resistenze delle comunità subalterne, spesso escluse dalla storiografia dominante. Attraverso questo studio, Guha cercava di dare voce ai Santal e alle loro aspirazioni, analizzando le cause sociali, politiche ed economiche che hanno portato alla loro ribellione e esplorando le implicazioni più ampie di questa lotta per la comprensione della storia indiana.

 

Guha, insieme ad altri studiosi dei Subaltern Studies, ha contribuito a riconsiderare il modo in cui la storia è stata raccontata e interpretata, sfidando le narrazioni dominanti e ponendo l'accento sulle voci e sulle prospettive delle comunità subalterne. Lo studio della rivolta dei Santal si colloca quindi all'interno dell'obiettivo più ampio dei Subaltern Studies di ridefinire la storia in modo più inclusivo e rappresentativo delle varie esperienze e lotte della società indiana.

Peter Stanley, Hul! Hul!: The Suppression of the Santal Rebellion in Bengal, 1855, Hurst & Co Ltd, 2022 /

Se non fosse stato per la famosa rivolta indiana del 1857, la "Hul" (ribellione) Santal del 1855 sarebbe oggi ricordata come la rivolta più grave che la Compagnia delle Indie Orientali abbia mai affrontato. Invece, questa rivolta – in cui fu impegnato il 10% della fanteria dell'esercito del Bengala e in cui persero la vita almeno 10.000 Santal – è stata dimenticata. Mentre il suo ricordo era ancora vivo tra i Santal, gli ufficiali britannici ne pubblicarono poco e la maggior parte dei sepoy coinvolti morì nel 1857. Per usare le parole di un ufficiale britannico, l'Hul non fu "guerra... ma esecuzione", e forse per questo motivo fu liquidata come indegna di attenzione dagli storici militari. Basandosi per la prima volta sui voluminosi rapporti degli ufficiali del Bengala sulla sua repressione, Peter Stanley ha prodotto la prima interpretazione completa dell'Hul, indagando le ragioni per cui si verificò, come fu combattuta e perché finì in quel modo. Nonostante l'esercito del Bengala avesse praticamente inventato operazioni di controinsurrezione sul campo (e i Santal avessero improvvisato la loro prima guerra), l'Hul giunse al termine tra fame e malattie. Ma tra il suo scoppio sanguinoso, la sua prolungata repressione e i suoi effetti di vasta portata, Stanley dimostra che l'Hul fu più di una semplice "esecuzione": fu davvero una guerra. 




Peter Stanley è professore di Storia presso l'UNSW Canberra e ha vinto il Premio del Primo Ministro per la Storia Australiana. Ha pubblicato oltre trentacinque libri sulla storia militare e sociale australiana e sull'India britannica, tra cui "White Mutiny: British Military Culture in India, 1825-75", pubblicato sempre da Hurst. In particolare, nel testo “Hul! Hul!”, utilizza il canone storiografico della “prosa della contro-insurrezione” di Ranajit Guha per lo studio della rivolta dei Santal del 1855.

approfondimenti sul blog:

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2022/01/la-prosa-della-contro-insurrezione.html

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/06/ranajit-guha-e-le-tracce-dello-storico.html

 

IL CANONE STORIOGRAFICO DEGLI STUDI SUBALTERNI

I discorsi primario, secondario e terziario nello studio della rivolta dei Santal.

*primario - fonti primarie, lettere, ordinanze, dispacci, documenti ufficiali dell’élite direttamente implicata di cui è necessaria la destrutturazione linguistica e analisi sequenziale svelandone i ‘codici’, che sono i codici della ‘contro-insurrezione’

*secondario - memorialistica e storiografia coloniale, resoconti e monografie

* terziario - opere di scrittori non appartenenti all’establishment coloniale o funzionari implicati, ma che sussumono la narrazione colonialista.

All’interno del terziario, c’è anche una narrazione di sinistra. Pur adottando il punto di vista del ‘ribelle’, contro orrori e misfatti dei proprietari terrieri, usurai e commercianti disonesti, da una polizia corrotta e da funzionari irresponsabili, è la prevenzione della ribellione per il controllo dell’insubordinazione la finalità coincidente con il discorso secondario. Il contesto-evento-prospettiva è allineato al continuum storico.

(Ranajit Guha prende in esame il testo di Suprakash Ray, “Bharater Krishak Bidroha O Ganatantrik Sangram”, in it. Rivolte contadine e lotte democratiche in India, Calcutta, 1966).

 

“Appare chiaro che l’obiettivo del discorso terziario è quello di riscattare l’originalità della storia delle insurrezioni contadine da quel continuum che assimila ogni jacquerie all’”opera dell’Inghilterra in India”, interpretandole piuttosto in guise tali da disporle lungo l’asse alternativo di una campagna protratta nel tempo per la libertà e per il socialismo. Anche quest’operazione tuttavia, come accade con la storiografia colonialista, equivale a un atto di appropriazione che esclude il ribelle in quanto soggetto consapevole della propria storia, incorporandolo soltanto come elemento contingente all’interno di un’altra storia fatta da un altro soggetto. Proprio come nel discorso secondario non è il ribelle ma il Raj il soggetto reale, e come la borghesia indiana è il soggetto reale del discorso terziario del genere della Storia- della- Lotta -per- la -Libertà, nella letteratura di cui abbiamo appena discusso un caso esemplare il ribelle non può che essere rimpiazzato dall’astrazione chiamata Operai- e -Contadini, un ideale anziché la personalità storica reale degli insorti.

[cit.] Ranajit Guha, La prosa della contro-insurrezione, in Ranajit Guha, Gayatri Chakravorty Spivak, Subaltern studies, Modernità e (post)colonialismo, a cura di Sandro Mezzadra. Introduzione di Edward Said, Ombre Corte, 2002, pag.86

 

a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia

 

 

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